Sganciarsi dal seggiolone

Sganciarsi dal seggiolone

Sganciarsi dal seggiolone


SGANCIARSI DAL SEGGIOLONE


Ho il flash di una mano che imbocca ingozzando fintamente accudente un essere su un seggiolone che non ha più né il corpo né l’età di un bambino ma che, come tale, viene trattato e convinto d’essere.

Lo vedo goffamente incastrato in quella struttura, c’è cresciuto dentro e trasborda, è legato da corde – che gli raccontano essere necessarie per il suo bene, infatti, potrebbe cadere… – e, in questo stato, la finta buona madre lo rimpinza di tutte le schifezze che vuole e che gli fa consumare. E lì lo tiene, fermo, insaziabile, bisognoso, bloccato, nell’illusione di non potersi muovere. Cosa che, sempre più imbibito e abilmente stordito, nemmeno vuole! certo com’è, ormai, di dipendere in tutto e per tutto, di non sapersela cavare da solo, di avere bisogno – per la propria sopravvivenza e per essere felice un giorno – di quest’ente apparentemente protettivo nutriente e salvifico, che nella falsa rassicurazione l’ha reso debole e schiavo: una ributtante spontanea sudditanza scientemente indotta. E che grandi e saggi di tutti i tempi han descritto. Quindi “nulla di nuovo sotto il Sole” … quindi un senso certamente c’è, ed è evolutivo. Qualcuno, dalla costrizione di quei lacci a liberarsi ce la fa, e da lì in poi sarà per quell’anima tutt’un’altra storia. Ma andiamo per gradi.

Anche il miglior seme per germogliare ha bisogno del terreno e di tutto quel che serve, nelle giuste quantità, così anche il seme della liberazione resta in paziente e fiduciosa attesa che le condizioni siano propizie. Lì soltanto, per scelta e per natura germoglierà.  

Ancora non è giunto il tempo per il pavido uomo-bambino, che, convinto d’essere in un mondo brutto e pieno di pericoli, non sa più Chi è. Così indebolito e bisognoso, via da lì non saprebbe proprio dove andare, e forse a fatica muoverebbe qualche passo. Reso in tali condizioni, se qualcuno dei suoi simili preso dall’impeto della liberazione collettiva andasse a prenderlo e gli dicesse “su sciocco corri via con me, andiamo” il cadere dopo pochi passi e tornare indietro non è nemmeno un alto rischio, è una certezza, anche per i più ottimisti.

Meglio a quel punto restare nel “Truman show” convinti che quella sia la vita. Perché peggiori e devastanti – per ogni parte in causa e per il fine – sarebbero le conseguenze del rivelare il confine a chi non è pronto per reggere e agire. Una forma presuntuosa d’arroganza nel migliore dei casi inutile, oppure deleteria, generatrice di shock e dell’assai probabile accusa di bugia o di follia che ne seguirebbe sull’onda di una percepita “legittima difesa”.

Nulla è possibile se non si è prossimi all’alba, fino all’attimo in cui si accende la chiarezza, fintanto che si vede d’una vista superiore e si sceglie, perché ci si è preparati e si è sviluppata l’indispensabile Forza interiore.

Nulla è possibile senza il Fuoco che alimenta il processo, ed alta è la fiamma della Volontà, forte, come il coraggio e la determinazione. A quel punto del Viaggio sa discernere tra Amore e non-amore, e ha scelto l’Amore.

Nulla è possibile fin che, come Gulliver, dice “adesso basta!” e si alza in piedi e s’incammina, consapevole della propria grandezza, della propria forza, senza dubitarne, senza temerle.

Nulla è possibile finché l’aquila non smette di becchettare ciondolando a testa china come un pollo ma apre le ali si alza e vola.

Il lieto fine dipende dal punto in cui fai finire la storia” diceva qualche giorno fa un’amica. Anche la storia finita peggio ad un certo stop è lieta. Nella successione d’onde del tempo la storia non finisce ma, se facessimo ora un fermo-immagine, vedremmo che quel lieto fine che ho descritto è stato irreversibilmente raggiunto da un gran numero di Sorelle e Fratelli in cammino e che tuttavia tanti sono ancora propriamente sotto incantesimo.

Penoso per chi li ama.

Penoso per chi con animo diviso non accetta e vorrebbe per loro altro. Eppure, qualunque polarità, indistintamente, in quanto tale, schierandosi con giudizio e accusa, chiude chi la vive nella prigione della dualità. Una trappola da cui si viene facilmente sedotti. Imporre ad altri – che sia per presunto affetto o per abuso di potere nulla cambia – significa sostituirsi nella scelta. Intervenire ed interferire nel corso dell’altrui vita, imponendo un sentire sconosciuto e respinto. Questo è possibile soltanto da invischiati nella polarità, elevandosi nulla di simile sarebbe immaginabile.

Penoso è per chi s’abbandona all’odio e al conflitto, perdendo di vista la resa, il rispetto e l’Amore comunque, sostenendo peraltro con convinzione di lottare in nome di essi.

Peccato è nutrire inconsapevolmente il fine non voluto.

Peccato è sottrarre con lo scontro del torto-ragione l’energia creativa del cambiamento.

Peccato è disperdere il tempo e la forza indispensabile per riuscire a far decadere leggi ingiuste dettate da uomini-bambini. La pena di morte era legge. La schiavitù era legge. Ciascuno conosce decine, centinaia di situazioni in cui la legge non è stata giusta. Non basta esser dettato dalla legge per esser considerato giusto. Ciò che è giusto lo senti dentro, te lo dice il cuore. Quindi non basta che sia  legge per obbedire. Per cambiare ciò che viola e offende servono coesione, lucidità, integrità nel principio e flessibilità nell’azione, forza, perseveranza, determinazione e un buon cuore. E anche su tutto quel buio di nuovo sorge il Sole.

Ma a questo punto della storia la struttura cigola, a preludere il crollo, la mano che ingozza è più violenta perché incerta, alle sue spalle è evidente ora un gigante d’argilla minaccioso che dal suo castello di carte a propria volta teneva questa “finta buona madre” costretta al compito. La quale ha iniziato qua e là a rendersi conto che il limite è abbondantemente passato, comincia anche a farsi un po’ di schifo, sono più veloci le domande che si fa delle risposte che riesce a darsi, e poiché “il troppo stroppia” l’uomo-bambino inizia anche a vomitargli in faccia quel che gli impone, ora con convinzione svuotata. Anche la madre patria soggiace alla Madre Natura. Il bambino è in trasformazione, un raggio di Sole lo ha colpito nella fronte e nel petto, si sveglia da un sonno profondo, e quindi intorpidito, inizia a sentire dapprima le sue gambe, le muove piano per testarne la forza, si guarda attorno, e in silenziosa determinazione sgancia le sicure delle corde che lo tenevano legato e con questo gesto sottrae controllo al ricatto, le litanie del sottofondo costante non le ascolta più, prevale il suo cuore finalmente, sente il battito della libertà, ora ricorda la propria Anima, commosso l’ascolta e salvo la segue: con lo sguardo al Sole riprende il cammino.

In quel momento rinasce, serve un’ostetrica che l’accolga, un Fratello che dia il benvenuto e non un sedicente eletto a nutrire la paura e a dar del coglione. Dalla separazione si esce per elevazione, per trascendere la polarità esasperata serve sospendere il giudizio e chiedersi “sono qui per ferire o per curare?
Benedico le volte in cui è successo, ho compreso e potuto dare una risposta differente in seguito.
Se realmente sono nell’Amore, umile tendo la mano.

Siamo qui per creare ponti, proprio ora mentre per risposta stessa dell’esterno i ponti fisici stanno crollando o sono chiusi perché pericolanti, ed in questa epoca è indispensabile ad essi lavorare.

Tutto cresce con progressione, non vai a letto una sera bambino e la mattina dopo ti svegli che sei adulto. Lo diventi passando per fasi intermedie, Umanità compresa. Nel piccolo come nel grande. Non si trasforma l’esterno senza accettare di compiere preliminarmente il lavoro interiore: noi costituiamo la società che condanniamo. Come dentro così fuori. Poiché il processo non è anagrafico e la saggezza non si raggiunge per età, serve una scintilla. È qui ora. La clessidra sta per girarsi, possiamo entrare nella trasformazione senza timore ma accogliendola, senza resistere ma fluendo e lasciando andare con levità quel che è logoro, o non nostro, e che non ci corrisponde più. Lasciamo nascere quel che deve nascere: la forma nuova è pronta, ci attende un nuovo libro da scrivere, una pagina bianca in cui tuffarsi e far scorrere la traccia che scegliamo di lasciare, fecondata dall’intento d’Amore, che unisce e salva: “Ama è fa ciò che vuoi”.

“Una volta per tutte dunque ti viene imposto un breve precetto: ama e fa’ ciò che vuoi; sia che tu taccia, taci per amore; sia che tu parli, parla per amore; sia che tu corregga, correggi per amore; sia che perdoni, perdona per amore; sia in te la radice dell’amore, poiché da questa radice non può procedere se non il bene”.

Ama e fa’ ciò che vuoi, poesie di Sant’Agostino

Ludovisi_Throne

 

 

 

 
Immagine dal web
Trono Ludovisi – Museo nazionale romano palazzo Altemps Roma

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